Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna”.

Matteo 25,45-46

Sentire senza ascoltare

Molte volte, distrattamente, ho ascoltato questo brano del Vangelo di Matteo durante la messa della domenica e mai l’avevo collegato ai migranti. È uno di quei brani estremamente scomodi, che obbligano ad interrogarsi. E allora è più facile farselo entrare da un orecchio e farselo uscire dall’altro, senza tanto lasciarsi toccare.

Questa mattino l’ho risentito. Veniva letto da una persona che si professava non cristiano, forse anche non credente. Veniva letto mettendolo in relazione a tutti quei piccoli che oggi il nostro Bel Paese lascia sulle navi, ormeggiati a distanza di sicurezza, per evitare che possano invaderci, e magari, con la loro miseria, intristirci, perché si sa:

che il nostro piangere fa male al re
fa male al ricco e al cardinale
diventan tristi se noi piangiam!

Ho visto un re, Enzo Jannacci

I migranti, il nostro capro espiatorio

E nessun re vuole sudditi tristi, e nessun suddito triste vuol essere: meglio stare allegri e trovare qualcuno (i migranti) che sta peggio di noi per addossargli qualche colpa che proprio non vogliamo prenderci, farci un po’ di compassione, ma non troppa, che poi tocca riconoscere che andrebbero aiutati, perché sì, noi stiam male, ma loro stanno peggio.

Meglio farli avvicinare quel tanto che basta a ricordarci che c’è qualcuno che sta peggio di noi, ma poi dobbiamo affidarli ad altri, tutti europeisti in questi momenti, che noi ne abbiamo accolti già abbastanza e ora tocca a qualcun altro.

Siamo cristiani, ma solo tra di noi

Noi siam cristiani, abbiamo il Papa a casa nostra, preghiamo tanto per altri, soprattutto se sono simili a noi: se hanno il nostro stesso colore, se parlano la nostra stessa lingua (meglio addirittura il nostro stesso dialetto).

Amiamo invocare santini e beati per ricever grazie d’ogni sorta, ma i piccoli, i disperati, quelli no: è meglio se ci pensa qualcun altro.

I migranti sono i piccoli dei giorni nostri

Secondo la CEI 2008, per piccoli si intendono qui tutti coloro che, in vari modi, sono bisognosi. Penso allora a tutte quelle persone che, scappando da una vita difficile, da situazioni forse addirittura infernali, si trovano ad affrontare, dopo aver venduto tutto il poco che avevano, i cosiddetti viaggi della speranza. Non sono forse i piccoli d’oggi? Non sono i piccoli tra i piccoli?

Con che coraggio ci possiamo professiamo cristiani senza aiutarli? Va bene, forse non tutti possono fare qualcosa di pratico: non tutti hanno il coraggio di ospitare qualcuno in casa propria (io per primo). Non tutti possono o riescono dedicare la vita per andare ad aiutare in modo tangibile nei luoghi dove queste persone, tra mille difficoltà e contraddizioni, sbarcano, dove cercano la prima boccata di ossigeno dopo un viaggio lungo una vita.

Abbiamo il dovere di aiutarli tutti, nessuno escluso

Ma almeno avere il coraggio di dire che sì, vanno aiutati tutti, dal primo all’ultimo, fossero centinaia di milioni, fosse anche un continente intero, costi quel che costi. Avere il coraggio di dire che sono uguali a noi, solo che noi siamo più fortunati e che quindi dobbiamo noi fare qualcosa per loro. Che è nostro dovere come Paese e come cittadini quello di rinunciare, nonostante tutto, a qualcosa del molto che abbiamo per aiutare chi ha poco, niente o meno ancora…

Sommergiamoli di fischi

E vorrei anche che tutti noi cristiani avessimo il coraggio di fischiare quegli ipocriti che ostentano segni sacri al solo scopo di ottenere consenso, per entrare in sintonia con un target ben preciso, al solo scopo di estorcere qualche voto. Ok, ora ci sono riusciti. Polli quelli che ci son caduti. Ora però è il momento di fischiarli.

Che indossino pure le camice nere ora che sono al potere, ma che ripongano dei simboli che non gli appartengono. Che nulla centrano con quello che poi, nei fatti, compiono.

Insomma, avevo bisogno d’essere destato da un non credente per riflettere sul messaggio di quel brano del Vangelo che avevo sentito decine e decine di volte senza riuscire a calarlo nella realtà che mi circonda.

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