Voglio elogiare la mediocrità lavorativa. E lo voglio fare senza alcuna retorica né tanto meno con ironia, in modo totalmente sincero ed onesto. Dire subito elogio della mediocrità, se non sbagliato, è quantomeno fuorviante: ci devo arrivare per gradi. Dovrei prima parlare di resistenza, resistenza lavorativa, resistenza nel lavoro.

Qui mi riferisco a tutte quelle persone che nel lavoro non spiccano, non brillano, non si distinguono, non avanzano, e forse invece pian piano regrediscono, arretrano, si trincerano, si scudano, si difendono, ma resistono, resistono nonostante tutto.Sono la maggioranza, sono io, siete voi, siamo noi. Siamo quelli che lavorano perché devono. Perché dobbiamo pagare l’affitto o il mutuo, le bollette e la spesa, perché dobbiamo pagare la benzina, l’assicurazione e l’auto (poi usata principalmente per andare a lavorare!), perché vogliamo dare un’educazione ai nostri figli, perché vogliamo avere dei figli. O perché dobbiamo aiutare i nostri genitori che con la sola pensione sociale, dopo una vita passata ad aiutare noi, non arriverebbero a fine mese.

Siamo noi i resistenti, e dobbiamo lavorare perché non abbiamo altro orizzonte che quello capitalistico, stretti come siamo nella sua logica del “lavora-guadagna-consuma-crepa”. E quindi lavoriamo per forza e non certo per piacere. “È sempre stato così” dirà qualcuno e (forse) sarà così per molto tempo ancora dico io (le uniche alternative che vedo all’orizzonte sono una rivoluzione globale e/o un Reddito Base Universale), ma ciò non implica per forza che il lavoro debba piacerci, che lo si debba osannare e che ci si ritrovi costretti ad accettare tutte le logiche al ribasso per ottenere (e poi per mantenere) un posto di lavoro!

Lavoriamo nell’illusione di togliere un po’ d’incertezza ad un futuro che invece, d’incertezza, ne ha da vendere! Lo facciamo a testa bassa, in un mercato che gioca al ribasso, in un’eterna lotta tra poveri, pronti a scannarci per le briciole quando i padroni gozzovigliano alle nostre spalle.

Il lavoro ci vorrebbe perennemente attivi, brillanti, fonte inesauribile di idee per far progredire l’organizzazione nella quale lavoriamo. Non basta più quindi “fare il nostro”, vige la logica dell’andare oltre, del superamento di ogni traguardo, sempre con nuove mete più sfidanti all’orizzonte. E allora dobbiamo guardare avanti, guardare oltre ed essere propositivi, perché il capitale sogna idee brillanti, dirompenti, che gli permettano di moltiplicarsi e crescere in modo esponenziale, spaziale, in modo da raggiungere la luna a bordo di un’utilitaria trainata da noi, dalla forza-lavoro.

E poi quando grazie al nostro sforzo (e magari ai nostri burn out) usciamo dall’atmosfera, veniamo subito abbandonati al nostro destino come gli inutili serbatoi di carburante dei razzi: perché sì, l’idea buona magari è stata nostra, l’abbiamo anche realizzata quasi interamente noi, lavorandoci, sforzandoci, con sacrificio, ma poi sarà il capitale a seguire la traiettoria, grazie alla nostra spinta iniziale. A noi rimarrà poco o niente, se non l’aspettativa di un’ulteriore buona idea da partorire, realizzare e regalare all’azienda, in un eterno ciclo fino alla pensione.

E se poi non ce l’abbiamo questa idea geniale? Non è sufficiente fare quello per cui siamo pagati? Non è sufficiente sacrificare le ore migliori delle nostre giornate e i migliori anni della nostra vita? No, al giorno d’oggi non più. Forse non è mai stato così, forse il Capitale è sempre stato ultra-esigente nei confronti della forza-lavoro. Ma oggi la pressione psicologica è massima. Cento anni fa si schiattava in fabbrica o in miniera: allora era il corpo a cedere, perché il lavoro era ancora visto come qualcosa di prettamente fisico. Oggi invece l’attacco si è spostato su un piano mentale, lavora più subdolamente: si insinua nelle nostre teste e ci spinge a generare un senso di inadeguatezza, quasi un senso di colpa perché non eccelliamo, perché non siamo in grado di eccellere.

Ed ecco allora il mio elogio alla mediocrità lavorativa. Perché quello che facciamo al lavoro, anche senza brillare (nella logica capitalistica), ma “solo” limitandoci a fare il nostro, in realtà è già molto e di ciò dobbiamo essere pienamente fieri!

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